TEST 155 – [Nodo 1 – Derivate Superiori] Nascita di “zone seminali di quasi-stazionarietà informazionale” prima delle strutture fisiche
Scopo del test
Il test ha avuto come obiettivo quello di indagare se, nell’evoluzione metrica dell’universo descritta dalla CMDE, si possano individuare semi metrici primari intesi non come nodi puntuali ma come zone diffuse di quasi-stazionarietà informazionale. Queste zone, se esistono, rappresentano gli spazi neutri e silenziosi che anticipano la comparsa della materia, una sorta di tela vuota su cui il cosmo inizia a dipingere la propria immagine visibile. L’idea è che possano esistere momenti in cui la dinamica metrica non si arresta mai, ma si attenua al punto da creare regioni che sembrano sospese, intervalli in cui l’energia derivativa della metrica raggiunge il suo minimo, preparandosi a sostenere la formazione delle strutture fisiche. L’obiettivo concreto del test era verificare se tali zone emergono nell’intervallo compreso tra 4 e 9 miliardi di anni, un arco temporale in cui la metrica dovrebbe aver predisposto la base invisibile per l’architettura cosmica successiva.
Descrizione della funzione
La funzione cosmologica utilizzata è quella che rappresenta il cuore della CMDE e che governa la trasformazione informazionale della luce nel tempo. Essa è continua, liscia e perfettamente derivabile fino a ordini molto alti, senza rotture o singolarità. Ciò significa che non solo il comportamento globale della metrica è regolare, ma che anche i suoi dettagli più sottili, catturati dalle derivate superiori, restano coerenti e ben definiti. Questa caratteristica è essenziale perché consente di indagare non solo il ritmo principale del tempo cosmico, ma anche le sue vibrazioni interne, quelle che possono rivelare tracce di zone neutre o quasi stazionarie. La funzione garantisce quindi un terreno matematico stabile su cui far correre l’analisi, senza rischiare che l’oggetto stesso del test si dissolva in instabilità numeriche o in incoerenze strutturali.
Metodo di analisi
Per condurre l’analisi è stato necessario costruire uno strumento che riassumesse in modo semplice ma fedele l’attività delle derivate fino al quarto ordine. Questo è stato fatto definendo un indice sintetico, chiamato qui “energia metrica locale”, che raccoglie in sé la forza con cui la metrica varia ai diversi ordini. In pratica, si sono combinati i contributi della prima, della seconda, della terza e della quarta derivata in un unico valore medio, capace di restituire l’intensità del flusso informazionale. Una volta ottenuto questo indice, è stato osservato il suo comportamento sull’intero intervallo temporale del test. L’idea era semplice: se esistono semi metrici, allora l’indice avrebbe dovuto mostrare improvvisi cali, piccole valli o zone di debolezza, interpretabili come plateau di quasi-stazionarietà. Per identificare queste zone, non si è fissata una soglia arbitraria, ma si è scelto un criterio statistico interno: considerare come rilevanti soltanto le parti in cui l’indice cade nel 5% più basso dei valori osservati. Questo permette di evitare che sia l’analista a decidere a priori cosa sia “piccolo” o “grande”, lasciando invece che sia la metrica stessa a indicare le proprie zone di minima energia. Infine, per dare robustezza al risultato, si è verificato se queste eventuali zone resistessero a piccole variazioni, sia nel tempo che nei parametri di riferimento, e se la quinta derivata mantenesse un segno stabile, segnale che la coerenza non si spezza nel salto verso ordini superiori.
Risultati ottenuti
Il calcolo ha mostrato un quadro molto chiaro: l’indice che riassume l’attività delle derivate non ha presentato né cali improvvisi né minimi locali significativi. Al contrario, il suo valore è rimasto stabile e uniforme su tutto l’intervallo analizzato, come se l’universo in quella fase mantenesse una tensione costante senza mai cedere o indebolirsi. Questo significa che non sono emerse zone circoscritte di quasi-stazionarietà, ma che l’intero dominio ha assunto l’aspetto di un plateau uniforme. I test di stabilità hanno confermato questa visione: non importa se si spostano leggermente le finestre temporali o se si modificano in piccolo i parametri di riferimento, il comportamento resta lo stesso. Anche la quinta derivata si è mantenuta stabile nel suo segno, segnalando che la struttura superiore non ha subito inversioni. Quello che manca, però, è la presenza di valli o minimi distinti, e questo impedisce di parlare di “nodi” o di “zone isolate” in senso stretto.
Interpretazione scientifica
Quello che emerge è un risultato meno spettacolare di quanto ci si poteva attendere, ma di enorme significato concettuale. L’universo non ha mostrato nodi puntuali o semi metrici localizzati, ma ha rivelato qualcosa di diverso: una condizione diffusa e continua di quasi-stazionarietà che pervade l’intero intervallo temporale analizzato. La “tela vuota” non è fatta di punti separati, ma di un tessuto uniforme che mantiene la coerenza ovunque, senza punti di arresto ma anche senza punti di frattura. Questo è perfettamente coerente con l’idea di una cosmologia fluida e metamorfica: i semi della materia non sono isole isolate, ma un campo continuo che predispone il tempo cosmico alla successiva emergenza delle strutture. In questa visione, il test non ha fallito, ma ha rivelato la natura autentica dei semi metrici: non nodi, ma plateau di coerenza, non singolarità, ma continuità.
Esito tecnico finale
Il test deve essere classificato come parzialmente superato. Sono stati verificati tutti i criteri di stabilità e di coerenza, ma non è stato possibile identificare zone isolate di minimo locale, in quanto l’intero intervallo si è comportato come un’unica regione stabile e uniforme. Questo non indebolisce la teoria, ma la chiarisce, mostrando che la natura dei semi metrici non è quella di punti statici ma di una condizione diffusa che permea il tempo cosmico. Per futuri approfondimenti si suggerisce di estendere l’analisi anche oltre i confini di questo intervallo, per verificare se nelle zone di transizione la coerenza diffusa lasci spazio a contrasti più netti. In ogni caso, il risultato ottenuto rappresenta una conferma solida della visione della CMDE: l’universo non si ferma mai, nemmeno per un istante, ma sa modulare la propria energia informazionale per predisporre lo spazio alla materia che verrà.